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Il cancro prima ti sconvolge la vita e dopo te la cambia irrimediabilmente.

Marla, sì ho dato un nome al cancro, è arrivata in una calda e assolata mattina d’estate. Ricordo ancora la mia incredulità a sentire le parole del chirurgo che i spiega cosa significa linfoma: tumore maligno delle vie linfatiche. Io? Ma vaaaa, io sono appena diventata mamma, non è possibile.

Il cancro prima

Prima di quella terribile parola, che tutti hanno paura di pronunciare (ed io non capisco il perchè) la vita trascorreva tranquilla nel cerare di fare funzionare tutto a perfetti incastri e blocchi.

Se penso all’Alice prima dell’arrivo di Marla, ho dato questo nome al cancro (e te lo spiego qui) una parola sola mi viene in mente: arrendevole. Si arrendevole, perchè pittosto che mettermi a discutere io accontentavo tutto e tutti, dimenticandomi di dove fossi io.

Alice c’è da fare questo, puoi? Certo, tanto non ho “nulla da fare”. Alice facciamo questa cosa (che ti vedrà rinunciare al corso di foto che hai appena iniziato e pagato ndr)? Certo, non ho impegni! Alice mi aiuti a organizzare questa cosa? Sì, ci mancherebbe. Intanto ho gli amici a casa mia che si divertono e io sono qui a “rompermi”. Alice dopo il lavoro ti va se mi aiuti a fare questa cosa che tu sei brava? Si si, ti aiuto più che volentieri!

Il senso di colpa

E intanto rodevo dentro e chi mi conosce molto bene, le uniche persone con cui mai sono stata arrendevole me ne dicevano di tutti i colori. Non potevo non dare loro ragione, ma non sapevo assolutamente dire NO, se quelle “cose” erano per vedere felici chi me le chiedeva. Non chiedetemi perché ma detesto vedere le persone tristi, o peggio deluse, così mi posso fare in quattro perché non avvenga.

Ho sempre fatto i conti con un enorme senso di colpa e prima che arrivasse il cancro questo era capace di logorarmi come nessuno mai. Se mi si instillava quello nella testa io non riuscivo a venirne fuori se non assecondando tutte le richieste che venivano dal mondo fuori da me. Insomma, se non fai, non aiuti, non esaudisci le richieste e le cose non vanno è colpa tua!

Finivo sempre, immancabilmente in questo circolo vizioso, che non sapevo fermare. Anche quando le persone a me vicine, quella a cui sapevo dire di no, senza farmi problemi, mi facevano notare la cosa io facevo spallucce, davo loro ragione ma non ne riuscivo a venire fuori. Sia mai che il senso di colpa mi lasciasse in pace.

Prima decido di diventare Mamma.

Stavo preparando il concorso per poter entrare di ruolo e smettere la vita da precaria, ero impegnatissima con la scuola in mille attività, facevo la babysitter nei tempi morti, non riuscivo a frequentare il corso di foto che tanto avevo desiderato per gli impegni sopra e decido di diventare Mamma.

Io e il Cappellaio ci siamo guardati in faccia, poi negli occhi e infine in fondo al cuore ed eravamo pronti, avremmo provato a diventare genitori.

Tra le varie cose che la maternità mi avrebbe portato c’era quella di ripristinare le priorità, avendo un piccolo fagiolo non avrei potuto assecondare tutto e tutti, dovevo assecondare lei e me, noi come famiglia e il resto del Mondo sarebbe rimasto fuori.

Prima divento mamma

Il giorno del test di gravidanza lo ricordo con una precisione maniacale. Ho mandato davide in bagno a controllare il test per evitare di rimanerci troppo male se non fosse stato positivo, e invece?

D: Mimi ci sono due lineette quindi non sei incinta!?
A: Emh cosa? due lineette sei sicuro?
D: Si si due!
A: Allora leggi bene le istruzioni, ti sbagli tu! Siamo incintiiiii!
D: Oh Ca**o! Spam!

dialogo surreale tra me e marito in quel giorno di maggio

Faccio gli esami del sangue per vedere se davvero è come crediamo o se è il caso di un falso positivo. Conferma, siamo incinti!!!

Prima divento mamma ma rimane il senso di colpa

Ed eccolo là, il senso di colpa torna a bussare alla mia porta.
Annuncio a scuola che sono incinta e tra le prime cose che mi sono state dette c’è quella che l’anno dopo non avrei dovuto scegliere quella scuola! Si, le mie colleghe mi hanno detto che non avrei dovuto scegliere quella scuola perché poi avrebbero dovuto cercare una supplente e si sa che non sarebbe stato facile.

Avrei destabilizzato l’ordine delle cose, i miei alunni (all’epoca facevo supplenze annuali sul sostegno) e tutto il corso degli eventi futuri! Eccolo! Il senso di colpa!!! Ho sbagliato non dovevo rimanere incinta, questa cosa che mi porto in pancia già crea problemi e io non so mettere in ordine le priorità, sto deludendo tutti!

Ci metto un’intera estate con l’incubo che avrei potuto dover decidere di abortire a rimettere in ordine le cose e le mie priorità! Arriva settembre e scelgo un’altra scuola ripromettendomi che mai avrei dimenticato come qualcuno abbia instillato in me quell’inutile senso di colpa per la cosa più bella che ci sarebbe mai capitata.

Passano i mesi e a gennaio del 2017 nasce una piccola Melina tutta rossa, gli occhi profondi come l’anima di un drago e la tenacia e la forza di un vulcano, che sgomenta le nostre vite fino a farmi cambiare prospettive e rimettendo tutto a posto. Ma non basta, a distanza di pochi mesi arriva un altra freccia del destino, che sarà il più grande dei miei maestri: il CANCRO.

Il cancro: la diagnosi

Dopo a rimettere ancora scompiglio e ordine arriva quella diagnosi che nessuno vorrebbe mai ricevere e quella lotta che mi vedrà impegnata per molto tempo.

Una mattina del primo giorno d’estate, la luce entra piano dalla finestra. Respiro, bacio prima il mio Cappellaio Matto e dopo quella testolina accanto a noi che dorme beata nella sua culla.

Vado da sola in ambulatorio, tanto avevano detto che se quel “bozzo” fosse stato qualcosa di grave mi avrebbero avvisato prima, siamo a scadenza non può essere nulla e sarà anche che questo prurito è solo STRESS come diceva il dermatologo di prima.

Sono in ambulatorio e stanno andando per le lunghe, chiamo Davi e gli dico di cominciare a dare la pappa a Melina, qui vanno per le lunghe ma dopo poco dovrei passare io.

Entro in ambulatorio, mi siedo. Il chirurgo sta cercando la mia cartella, non la trova e allora chiama il suo collega, quello che mi ha fatto l’autopsia in sala operatoria, quello simpatico che ancora ricordo con affetto, per aver parlato con me di birra mentre mi levava il linfonodo sovraclaveare. Il chirurgo di fronte a me la trova, finalmente: Signora Linfoma di Hodgkin, sentenzia.

Non capisco e allora per rendere tutto più chiaro prosegue: tumore maligno delle vie linfatiche.

Mi si appanna il cervello, singhiozzo che non è possibile, io ho una bimba di nemmeno 5 mesi, sono appena diventata mamma, non posso avere il cancro! L’infermiera mi abbraccia e si commuove. Io, con un filo di voce, mentre il medico prosegue nella spiegazione (che non sento più), chiedo di poter chiamare il mio compagno.

Davide risponde ed io pronuncio la sola parola che di tutte mi è chiara: chemioterapia.

Il cancro dopo: la vita si ribalta e impari ad essere la tua priorità

In quel momento il cancro entra, non solo nella mia, nelle nostre vite.

In quel momento impari la cosa fondamentale: le tue priorità.
Accetto da subito la diagnosi, senza fiatare. Nessuno ne può nulla. Non centra che io sia giovane, neo mamma, appena entrata in ruolo e con tutta la vita davanti, non aiuta nessuno prendersela con l’ingiustizia del destino; non sarebbe meno ingiusto se fosse capitato a un novantenne o più ingiusto se fosse capitato ad un ragazzino: Il Cancro è ingiusto Punto!

Il cancro: nel bel mezzo della battaglia

Da quel 21 giugno è iniziata una battaglia serrata a suon di chemio prima , e trapianto autologo poi.

L’incontro con quel Mondo fatto di prelievi, siringhe, medicine, infusioni, controlli diventa da subito una routine precisa. Saltano le vacanze, dove vado che sto perdendo i capelli e ho le forze di un moscerino sghembo. Prima gli esami per la stadiazione e gli incontri con la dottoressa che diventerà il mio primo punto di riferimento e dopo inizia la vera e propria battaglia a suon di vodka. Alice Beve Vodka Dolce è il gioco di parole c on cui chiamo la prima polichemioterapia a cui vengo sottoposta.

Ogni 15 giorni in ospedale, senza mai saltare una chemio e quando entro in quella sala d’aspetto capisco che non posso e non devo lamentarmi. Siamo tanti, troppi qui, di ogni età, con tante storie che si intrecciano e tutti sulla stessa barca.

Passano i primi mesi e alla prima ri-stadiazione ho risposto ma non bene, rifaremo il controllo dopo il 4 ciclo che confermerà la chemioresistenza e allora si passa ad un piano B: altre dosi di chemio che porteranno al primo dei due trapianti. Inizio a scrivere per ricordarmi ogni giorno la gratitudine a quel dono chiamato Vita. E così facendo si apre un cassetto dei sogni sepolti e ancora si rovesciano le priorità.

Il cancro dopo e i sogni che fanno le capriole

Ho iniziato a scrivere, per gioco riscoprendo la potenza delle parole e di quanto mi facessero stare bene. Quando chi mi leggeva mi diceva che ero fortissima io ho sempre risposto che ero solo una persona/mamma/donna normalissima. Né più né meno di chiunque altro, solo che a me era toccata una battaglia grande da combattere e da vincere, per poter vedere crescere la mia bimbetta e l’amore tra me e il mio Cappellaio.

Alice attraversa lo specchio la prima volta, e quella porta verde con la scritta Ematologia diventa parte della mia vita, della mia vita con un immenso senso di gratitudine.

Il cancro dopo: forse non hai ben capito le lezioni!

Passa il primo trapianto di midollo, quello autologo. Mi rimetto in piedi e la vita ri-comincia quasi come l’avevo interrotta dalla gravidanza.

Recidiva, non non ancora quella della malattia, torno a ripetere gli schemi che mi sono famigliari. Ricomincio a scuola saltando di palo in frasca perché sei tornata tu, quella che dice sempre si, e ci sono da coprire buchi, cercare di fare quadrare le cose.

In mia discolpa: ho eliminato tutto il superfluo: lavoro, certo so di essere fortunata a fare il mio meraviglioso lavoro ma non di più. Ci siamo Io, Mela e Davide, che nel frattempo è diventato mio marito da tutelare, proteggere senza soccombere a quei devi, che non mi posso permettere, ma che nemmeno voglio permettermi.

Il cancro dopo: la recidiva

Il cancro, Marla, torna. Siamo a gennaio, a quasi 8 mesi dal trapianto autologo e la tac evidenzia una massa strana, la pet conferma: recidiva.

Torna la paura, la stessa provata la prima volta quando il chirurgo freddo e distaccato mi diede la diagnosi. Mi permetto per la prima volta di dire ad alta voce alla dottoressa

Ho paura di morire!

io alla visita con la dottoressa al sesto piano

Ricominciamo i viaggi verso l’ospedale, una nuova terapia, questa volta una chemio sola (che mi sderna) abbinata ad un’immunoterapia in preparazione ad un nuovo trapianto di midollo, questa volta sarà da donatore.

All’inizio ci ho provato con tutte le forze a rimanere ancorata alla mia vita normale, non avevo la scusa di una neonata, Mela andava al nido e io speravo di poter continuare a lavorare. Ma viste le premesse e una “discussione” poco piacevole con la mia supplente ho pensato di tutelarmi e di riposare in vista di quella scalata immane che mi aspettava e che si chiama: Trapianto Allogenico.

Il cancro dopo, la recidiva: impara ad ascoltarti!

Non c’ero riuscita troppo bene con la prima diagnosi e la chemioresistenza a darmi delle priorità.

Avevo già dovuto rinunciare a fare la mamma come le altre, non avevo allattato, non ho fatto notti insonni (per culo e un marito genitore alla pari), non mi impegnavo a portare in fascia, mi sentivo libera di lasciarla all’asilo e non tanto per la bellezza di stare insieme ma proprio per poter respirare. Figurati se potevo, davvero, rinunciare a tutto!

Succede che mi arrendo e la prima volta che sono a casa da sola: mi fermo a pensare di scrivere su un foglio le mie priorità.

  • l’Amore
  • la mia Famiglia
  • i miei Sogni
  • le mie Passioni
  • il Bene delle persone che amo e che mi amano
  • e poi tutto il resto

Quell’ “e poi tutto il resto” mi ha dato modo di rivalutare tutto, di imparare a mettermi al centro perché me lo meritavo tanto quanto gli altri a cui dedicavo tutto.

Ho imparato ad ascoltare i miei bisogni, le mie attitudini, le mie passioni ma soprattutto il rumore dei miei sogni perché chiusi nel cassetto facevano un casino bestiale. Non ho un solo ruolo, e non vedo perché dovrei averlo. Non sono solo mamma, moglie, maestra. Sono un concentrato di tutto questo e molto di più.

Vorrei iniziare a scrivere, davvero come sognavo da ragazzina immedesimandomi in Jo March. Ho una passione per i social che mi impegno a studiare. Mi piacerebbe iscrivermi all’università come rivalsa su Marla.

E dovrei sentirmi in colpa perché non sono solo una cosa sola o al massimo due?

No! Marla mi ha insegnato ad essere quello che voglio, e non ho intenzione di chiudermi in un barattolo o in una lampada. Io sono Alice e voglio camminare, sognare in questo meraviglioso Paese delle Meraviglie sul quale ho la fortuna di poggiare i piedi con la testa fra le nuvole.

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